Chi vince e chi perde con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca
La vittoria del candidato repubblicano spinge il dollaro e manda al tappeto l’euro. Azionario Usa in rally con Tesla, settore finanziario e titoli industriali, mentre i rendimenti obbligazionari salgono per i timori sull’aumento del deficit Usa. Altra faccia della medaglia l’Europa, con lo spettro dei dazi di Trump che possono colpire un’economia già stagnante, su cui si è abbattuta anche la crisi politica in Germania.
La vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane ha scatenato un rally diffuso su molte asset class, dall’azionario Usa alle criptovalute, passando per il dollaro, che si è rapidamente rafforzato, in particolare a spese dell’euro. Un segnale che i mercati puntano sulle scommesse di politica economica del presidente repubblicano, mentre sono scettici sulle prospettive dell’Eurozona.
La moneta unica è scesa ai minimi da oltre un anno nei confronti del biglietto verde, una testimonianza delle diverse aspettative dei mercati sulle due aree geografiche. Uno scenario sfaccettato, da navigare con attenzione e prudenza.
“Il movimento è alimentato in primo luogo dalla forza del dollaro, sostenuta dalle promesse di politiche economiche pro-crescita fatte da Trump in campagna elettorale, come tagli alle tasse e aumento della spesa infrastrutturale. A ciò si è aggiunto anche altri dati economici positivi degli Stati Uniti, come l’indice ISM, che ha superato le aspettative, indicando un settore dei servizi molto resiliente”, commenta Luca Longhi, Area Asset Management, Responsabile Gestioni Total Return di Banca Generali.
Le aspettative sulle politiche economiche del presidente-eletto, in particolare la prospettiva di un calo delle tasse sui profitti societari, hanno spinto in modo generalizzato tutto l’azionario Usa, che ha più volte aggiornato i massimi storici. Attese più specifiche hanno favorito singoli settori, come quello dell’energia, dato che Trump ha più volte promesso di favorire gli investimenti nelle fonti energetiche tradizionali. Rally anche per Tesla, dopo che il CEO Elon Musk è stato uno dei maggiori sostenitori della campagna per la rielezione del tycoon.
La politica protezionistica ‘America First’, fatta di dazi e tariffe doganali, che era già stata una bandiera del presidente repubblicano nel suo primo mandato ha aiutato inoltre la performance delle piccole e medie imprese industriali americane, con l’indice Russell 2000, che riunisce le small e mid cap Usa, anch’esso in forte rialzo.
Una serie di misure che però avranno un costo, e che secondo la maggior parte di analisti ed economisti gonfieranno ancora di più il già altissimo deficit Usa. Non a caso i rendimenti dei titoli di Stato Usa, i Treasury, sono saliti ai massimi dall’estate.
Deficit elevato e dazi rischiano anche di ridare fiato all’inflazione, che sembrava domata, e potrebbero rimettere in discussione la politica monetaria della Federal Reserve. Nell’ultima riunione, il presidente Jerome Powell, in merito all'impatto delle possibili politiche repubblicane sull'inflazione e quindi sulla Fed, ha risposto che non sono attese modifiche nel breve periodo. “Powell ha sottolineato che le politiche governative saranno attentamente studiate, e che nel medio periodo potranno avere un impatto sulle decisioni di politica monetaria. Non a caso la probabilità di un terzo taglio dei tassi a dicembre è scesa sotto al 70% dall’85% toccato a metà ottobre”, spiega Longhi.
Diverse aspettative sui tassi che stanno aiutando il settore finanziario a Wall Street, con le grandi banche che sono state tra i titoli migliori della settimana.
Sull’altro lato dell’Atlantico, come visto, le prospettive sono molto meno positive.
“L’altra faccia del cambio euro/usd, di cui si parlava, è la moneta unica, che ha sofferto a causa delle incertezze politiche in Germania e delle preoccupazioni per l’impatto di possibili dazi americani sulle esportazioni dell’Eurozona. A fronte di possibili politiche repubblicane più restrittive relative ai dazi, i rischi di una recessione nel Vecchio Continente sono infatti in aumento, già provata dopo un periodo di stagnazione”, spiega Longhi.
Le previsioni macroeconomiche indicano una crescita zero o negativa a breve termine in Europa, con livelli di inflazione ancora alti. Ai fattori economici si aggiungono quelli politici e geopolitici: il prolungato conflitto russo-ucraino e ora anche il crollo del governo Scholz in Germania, con elezioni anticipate indette per fine febbraio 2025.
L’instabilità politica e le deboli prospettive di crescita di quella che ormai non è più la locomotiva d’Europa hanno portato anche a una circostanza inedita. Per la prima volta, i rendimenti dei titoli di stato decennali tedeschi (i Bund) hanno superato i tassi IRS (Interest Rate Swap), che sono considerati privi di rischio. Un fenomeno attribuito a vari fattori, tra cui la recessione economica e le preoccupazioni per un possibile allentamento del rigore di bilancio a seguito della crisi politica in Germania.
“Il superamento di tale tasso potrebbe avere diverse implicazioni per l’economia tedesca, in particolare attraverso l’aumento del costo del debito, ma soprattutto attraverso la percezione che anche Berlino, non è immune dal ‘rischio Paese’, un concetto tradizionalmente associato a economie meno stabili”, conclude Longhi.