Nel corso degli ultimi anni si è osservata una netta sovraperformance delle “big cap” rispetto alle “small cap” sia in Europa che negli Stati Uniti. Ma da qui in avanti riteniamo che a livello di diversificazione sull’azionario abbia senso adottare un approccio bilanciato che contempli oltre all’investimento in società ad alta capitalizzazione anche quello nelle small cap.
Il 2024 è l’anno del riscatto delle small e mid cap, anche in Europa
Complice l’abbassamento dei tassi di interesse e il calo dell’inflazione che si sta lentamente avvicinando al target predisposto dalle banche centrali le società Ue a piccola e media capitalizzazione hanno sovraperformato del 3%. Replicando quanto sta già accadendo negli Usa
Dopo anni di sovraperformance delle società a grande capitalizzazione il 2024 mostra tutte le caratteristiche per essere l’anno del riscatto delle piccole e medie aziende. Lo è senz’altro per quelle americane che stanno rappresentando una buona alternativa anche per le valutazioni ad oggi a sconto, ma è sempre più evidente che la rotazione dalle large alle small cap è in corso anche in Europa, complice l’abbassamento dei tassi di interesse e il calo dell’inflazione che si sta lentamente avvicinando al target predisposto dalle banche centrali.
Ne sono convinti gli esperti di Banca Generali che, offrendo un quadro del contesto macroeconomico e dell’andamento dei mercati, ritengono che a livello di diversificazione sull’azionario abbia senso adottare un approccio bilanciato che contempli oltre all’investimento in società ad alta capitalizzazione anche quello nelle small cap.
Andrea Mongardini, portfolio manager di Banca Generali, nota che nel corso degli ultimi anni si è osservata una netta sovraperformance delle “big cap” rispetto alle “small cap” sia in Europa che negli Stati Uniti. In particolare, negli ultimi due anni, le società a bassa capitalizzazione europee hanno registrato una sottoperformance del 12% circa in euro rispetto alle large cap. Se guardiamo invece agli Stati Uniti, il divario è ancora più accentuato con un differenziale di performance a favore delle società ad alta capitalizzazione del 23% circa in euro. “Questo trend è stato causato da vari fattori. In primo luogo, ha gravato sulle “small cap” l’innalzamento repentino dei tassi di interesse da parte delle principali banche centrali rendendo più difficoltoso per queste società finanziarsi e investire in ricerca e sviluppo. Un’altra ragione che ha penalizzato le ‘small cap’ è stato il contesto inflattivo che ha contraddistinto gli ultimi anni”, puntualizza. L’inflazione ha toccato infatti un picco del 9% circa negli Stati Uniti e del 10% circa nell’Eurozona.
In tale contesto le “large cap”, a differenza delle società a bassa capitalizzazione, sono riuscite ad utilizzare il loro “pricing power”, innalzando il prezzo dei loro prodotti, riuscendo a trasferire in questo modo l’inflazione sul consumatore finale incrementando i propri margini. “Infine, nel corso degli ultimi due anni si è assistito sul mercato ad un trend ben definito che ha visto la sovraperformance di alcuni titoli ad elevata capitalizzazione legati al tema dell’intelligenza artificiale. In particolare i magnifici 7 sono arrivati a pesare quasi il 30% dell’indice S&P 500”. In tale contesto è risultato complesso per i gestori attivi, tipicamente legati ai titoli a medio-bassa capitalizzazione, generare ritorni superiori a quelli degli indici caratterizzati da un’elevata concentrazione di titoli ad alta capitalizzazione.
“A nostro avviso il fenomeno descritto può essere definito come ciclico”, prosegue Mongardini. “A partire dall’inizio del mese di luglio infatti, abbiamo osservato con particolare riferimento agli Stati Uniti un inversione del trend con un differenziale di performance positivo a favore delle ‘small cap’ rispetto alle ‘large cap’ e al Nasdaq nella misura rispettivamente del 7% e del 9% circa in euro. Ciò a causa delle vendite su alcuni grandi titoli dovute a prese di profitto ma anche al fatto che molti di questi siano ‘priced to perfection’ dal mercato, rendendoli potenzialmente ancora più volatili avvicinandosi alla prossima reporting season per molti di essi. Lo stesso andamento si è verificato anche in Europa con una sovraperformance del 3% circa fatta registrare dalle società a bassa capitalizzazione”.
Secondo l’esperto quanto accaduto da inizio mese potrebbe proseguire anche nel corso delle prossime settimane principalmente grazie a due fattori. In primo luogo all’abbassamento dei tassi di interesse. “Il trend, in questo caso, sembra già segnato, andrà verificata la velocità con la quale i banchieri centrali procederanno alla normalizzazione dei tassi di interesse. Da osservare come nel corso del mese di luglio gli investitori abbiano prezzato 25 punti base di taglio ulteriore da parte della Fed entro la fine dell’anno favorendo in questo modo la performance positiva delle small cap che potranno finanziarsi a tassi più convenienti”. Infine l’inflazione che ha contraddistinto gli ultimi anni, sta scendendo, seppure più lentamente di quanto atteso, verso il target prefissato dalle banche centrali. “Da qui in avanti riteniamo che a livello di diversificazione sull’azionario abbia senso adottare un approccio bilanciato che contempli oltre all’investimento in società ad alta capitalizzazione anche quello nelle small cap”, aggiunge Mongardini secondo il quale quest’ultime presentano dei multipli molto attraenti. “In particolare, osserviamo come il rapporto prezzo-utili delle small cap americane si attesti a 14 volte rispetto al 19,9 dell’S&P 500. Anche in Europa le valutazioni sono a supporto delle small cap e in particolare notiamo come in Italia siano presenti società eccellenti che quotano spesso a sconto rispetto al mercato come denotano alcune Ipo concluse recentemente”, conclude.