La vittoria di Trump nelle elezioni presidenziali ha cambiato radicalmente le aspettative dei mercati sulle politiche monetarie della FED nel 2025: prima di novembre i tagli attesi erano ben 7. Oggi lo scenario è ben più prudente.
Banche centrali, ancora tagli ma la parola d’ordine ora è prudenza
Le tre maggiori banche centrali globali, Fed, Bce e BoJ, si riuniranno nei prossimi otto giorni. Le strade e gli scenari affrontati sono diversi, ma l’entusiasmo per i tagli dei tassi visto negli scorsi mesi sembra ormai stemperato dalla forza dell’economia Usa e dall’incertezza politica ed economica in Europa.
Sul fronte della politica monetaria, il 2024, un anno movimentato per i mercati obbligazionari globali, si avvia a chiudersi con ben tre meeting ravvicinati per le principali banche centrali: Banca Centrale Europea (12 dicembre), Federal Reserve (18 dicembre) e Bank of Japan (19 dicembre).
Le tre maggiori banche centrali dei Paesi sviluppati sono su tre percorsi diversi: dalla Bce obbligata a sostenere un’economia europea ancora stagnante dopo oltre due anni di difficoltà, a una Fed paradossalmente presa in contropiede da un’economia americana più forte delle attese e infine una BoJ guardinga dopo che il Giappone sembra essere uscito da una spirale deflazionistica lunga oltre 20 anni.
Uno scenario complesso e variegato, dove l’entusiasmo per il taglio dei tassi visto negli scorsi mesi sembra essersi moderato in particolare negli Stati Uniti, per la forza dell’economia, ma anche in Eurozona, per l’incertezza politica nei primi due Paesi dell’Unione, Francia e Germania.
Bce, la stagnazione europea rende il percorso obbligato
Ad aprire le danze sarà la Bce, il cui meeting però sembra avere un esito piuttosto prevedibile, a fronte di un outlook sull’economia europea che si fa di mese in mese più debole e incerto. L’Eurozona è stretta tra la crisi strutturale del modello tedesco, che dura ormai da circa due anni, l’incertezza politica a Berlino e Parigi e gli strascichi della crisi energetica iniziata nel 2022 con l’invasione russa dell’Ucraina.
L’istituto centrale di Francoforte sembra destinato a ridurre il costo del denaro per sostenere l’economia, seppur con un approccio graduale come da tradizione.
“Il prossimo appuntamento per la BCE non dovrebbe riservare grandi sorprese: gli ultimi dati di fiducia mostrano un indebolimento delle prospettive economiche per il Vecchio Continente, che dovrà vedersela nel prossimo anno anche con la minaccia dei dazi americani. Con l’inflazione oramai vicina al target del 2%, gli analisti sono concordi nel prevedere un taglio da 25 punti base nell’ultimo incontro del 2024. Tagli che dovrebbero proseguire anche nel corso del 2025, portando il tasso guida sotto il 2% alla fine del prossimo anno”, spiega Paolo Baldessari, Responsabile Fixed Income & Alternative per l’area dell’Asset Management di Banca Generali.
L’incertezza politica in Francia e Germania ha però stemperato notevolmente l’entusiasmo del mercato per i previsti tagli dei tassi. Anzi, i Bund tedeschi per la prima volta da 10 anni rendono più dei tassi swap privi di rischio, mentre il titolo di Stato decennale francese (l’Oat) rende quanto il titolo greco a 10 anni, una circostanza impensabile solo un paio di anni fa.
La forza dell’economia Usa rende cauta la Fed
Più incerto lo scenario per la FED, che si trova a fare i conti con uno scenario economico più roseo di quanto non si prevedesse anche solo pochi mesi fa, quando i timori sulla tenuta della crescita e del mercato del lavoro statunitense avevano portato la banca centrale Usa ad aprire il ciclo di taglio dei tassi con una mossa “oversize”, ovvero una riduzione del tasso sui Fed Funds da 50 punti base.
"L'economia statunitense è in ottima forma e non c'è motivo per cui non debba continuare", ha detto il presidente della Fed Jerome Powell durante un evento organizzato dal New York Times. "La buona notizia è che possiamo permetterci di essere un po' più cauti" sulle decisioni sui movimenti dei tassi.
Per questo motivo, “nonostante il mercato dia quasi per scontato un ulteriore taglio a dicembre, alcuni esponenti della banca centrale si sono dichiarati favorevoli a una maggiore cautela. L’economia USA sta infatti crescendo ancora a ritmi elevati (+3,3% la previsione per il quarto trimestre 2024) e anche gli ultimi dati di occupazione hanno mostrato un forte recupero dopo la momentanea debolezza estiva”, sottolinea Baldessari.
Un quadro complicato anche dal mutato scenario politico dopo le elezioni presidenziali Usa, che hanno riportato alla Casa Bianca l’ex presidente e candidato repubblicano Donald Trump, che in campagna elettorale ha promesso alcuni cambiamenti significativi in materia di politica economica e fiscale.
“La vittoria di Trump nelle elezioni presidenziali ha cambiato radicalmente le aspettative dei mercati sulle politiche monetarie della FED nel 2025: come si evince dal seguente grafico, prima di novembre i tagli attesi erano ben 7, con un tasso di ‘equilibrio’ attorno al 3%. Oggi lo scenario è ben più prudente, con ’solo’ quattro riduzioni attese, compresa quella nel meeting di dicembre. Il tasso a cui dovrebbe assestarsi il costo del denaro secondo le attese è di poco sotto il 4%”, prosegue il gestore di Banca Generali.
Un cambiamento di prospettive che non ha mancato di riflettersi sui rendimenti delle obbligazioni americane. Il titolo di Stato decennale Usa, il Treasury Note, ha visto il tasso salire dal minimo recente di circa il 3,65% a settembre all’attuale 4,2%, uno scostamento di oltre 50 punti base.
Il Sol Levante ancora in controtendenza
Al contempo prosegue su binari completamente diversi l’esperienza della Bank of Japan, che dopo aver mantenuto la politica monetaria più accomodante ed espansiva tra tutti i Paesi sviluppati per oltre 10 anni è ora l’unica grande banca centrale a essere ancora impegnata in un ciclo di rialzo dei tassi.
“La banca centrale giapponese si muove ancora in controtendenza, dopo aver abbandonato nel corso del 2024 la politica di tassi negativi e ridotto significativamente gli acquisti di titoli di Stato. Dopo il rialzo di luglio, la BoJ potrebbe portare i tassi allo 0,5% nel meeting di dicembre, visto anche l’andamento dei salari, cresciuti negli ultimi mesi a ritmi vertiginosi per un Paese abituato alla deflazione (+5% anno su anno). Tuttavia, il recente e inaspettato cambio di compagine governativa potrebbe però spingere la banca centrale a rinviare la decisione alla riunione di gennaio 2025”, conclude Baldessari.