Gli unici settori che in Europa sono riusciti a mettere a segno performance positive sono stati gli energetici (6,4%) e le telecomunicazioni (2,1%). I primi hanno beneficiato del trend al rialzo dei prezzi del petrolio mentre i secondi della stabilità dei flussi di cassa e dell’appeal speculativo legato alla vendita del business delle torri da parte di Deutsche Telekom.
Borse: chi vince e chi perde nel primo semestre 2022
Un calo del 22% dall’inizio dell’anno. È la performance non certo esaltante dell’indice Ftse Mib di Piazza Affari nel primo semestre dell’anno.
Tra le borse dei grandi paesi europei, quella di Milano è stata la peggiore nella prima metà del 2022, anche se gli indici stranieri non hanno certo alle spalle un semestre da incorniciare: il Cac40 di Parigi ha perso in sei mesi circa il 17%, Francoforte oltre il 19% mentre Il Ftse100 di Londra ha limitato un po’ i ribassi, fermandosi a un -3%. Sempre nel Vecchio Continente, pure lo Smi di Zurigo ha ceduto quasi 17 punti percentuali in sei mesi.
Spostandosi aldilà dell’Atlantico, la musica non cambia. Anzi, a New York il calo semestrale dei listini è stato in molti casi superiore a quello europeo. L’indice S&P 500, che raggruppa la più importanti società quotate sui mercati d’Oltreoceano, ha infatti alle spalle una performance negativa semestrale di oltre il 20% mentre il Nasdaq, il listino dove sono scambiati i titoli del settore tecnologico, ha perso oltre il 29%.
Meno peggio è andata per il Nikkei 225 di Tokyo che ha chiuso i primi sei mesi del 2022 con una performance negativa di circa 8 punti percentuali mentre in Cina la Borsa di Shanghai ha archiviato la metà dell’anno con un -6,6%.
Il mercato americano
Tirando le somme, è difficile ricordare nella storia recente un semestre con ribassi più marcati per le borse internazionali rispetto a quello che abbiamo appena lasciato alle spalle. Colpa ovviamente dello scenario geopolitico internazionale che, con lo scoppio della guerra in Ucraina, ha portato un bel po’ di volatilità sui mercati finanziari.
L’aumento dei prezzi delle materie prime, legato alla guerra ma anche alla crescita della domanda internazionale successiva alla pandemia, ha cambiato infatti radicalmente le prospettive dell’economia mondiale e generato un tasso di inflazione che non si vedeva dagli anni ’80 del secolo scorso.
Come se non bastasse, c’è stato anche un cambio di rotta nella politica monetaria delle banche centrali (la Federal Reserve negli Stati Uniti come della Bce in Europa) che, proprio per arginare l’aumento dei prezzi, hanno annunciato il rialzo dei tassi d’interesse dopo averli portati sotto zero e abbassati a livelli minimi mai visti prima nella storia.
“La performance molto negativa del mercato americano è stata causata sia dall’elevato livello di inflazione che ha toccato l’8,6% nel mese di giugno, sia dal cambio di politica monetaria della banca centrale”, dice Corrado Cominotto, responsabile Gestioni Patrimoniali Attive di Banca Generali, il quale mette in evidenza un aspetto: nei primi sei mesi dell’anno, la Federal Reserve (la banca centrale statunitense) ha alzato il tasso di riferimento di 150 punti base. “Il rialzo dei rendimenti ha pesato in particolare sui titoli tecnologici, (l’indice Nasdaq ha ceduto il 23% in euro e il 30% in local currency) i cui tassi di crescita sono negativamente correlati all’andamento dei tassi”, aggiunge Cominotto.
Il mercato azionario
Va detto, però, che la realtà del mercato presenta come sempre diverse sfaccettature. Se è vero, infatti, che la performance media dei listini è stata negativa in tutti i maggiori paesi industrializzati, non tutte le classi d’investimento si sono comportate allo stesso modo. Ve ne sono alcune, infatti, che hanno avuto performance positive a due cifre, regalando anche qualche soddisfazione agli investitori.
Per rendersene conto basta guardare per esempio agli indici rappresentativi dei prezzi delle materie prime come per esempio il CRB Commodity Index che, negli ultimi 6 mesi, sulla scia dell’impennata dei prezzi, ha guadagnato complessivamente circa il 26% mentre in un anno ha avuto un rialzo di ben il 36%.
La musica non cambia se si guarda i rendimenti medi dei fondi di varie categorie censiti da Morningstar, società specializzata nell’analisi sui prodotti del risparmio gestito. Dall’inizio dell’anno, i fondi azionari che investono nel settore energetico hanno guadagnato in media quasi il 22%. La categoria peggiore è stata invece quella dei fondi azionari specializzati nei titoli del settore tecnologico che, sempre dall’inizio del 2022, hanno oggi alle spalle una performance media negativa del 27% dopo aver messo a segno rialzi stellari durante gli anni precedenti.
“Gli unici settori che in Europa sono riusciti a mettere a segno performance positive sono stati gli energetici (6,4%) e le telecomunicazioni (2,1%)”, ricorda Generoso Perrotta, responsabile dell’Advisory di Banca Generali, “I primi hanno beneficiato del trend al rialzo dei prezzi del petrolio mentre i secondi della stabilità dei flussi di cassa e dell’appeal speculativo legato alla vendita del business delle torri da parte di Deutsche Telekom”.
Su fronte opposto, Perrotta ricorda che i settori più esposti alla domanda interna, quali retail, sono stati i più penalizzati nella prima parte dell’anno con una flessione superiore al 30%. Anche comparti difensivi quali i farmaceutici e le utilities hanno chiuso il primo semestre in ribasso, rispettivamente del 12,3% e del 16,1%.
“Il calo nei primi sei mesi ha avuto la conseguenza di riportare le quotazioni del mercato europeo in termini di multipli di bilancio su valori inferiori alla media di lungo periodo e su valori che non erano toccati da quasi 10 anni”, sottolinea responsabile dell’Advisory.
Il mercato obbligazionario
Non è andata meglio nel settore obbligazionario: “Da decenni non si evidenziava un inizio d’anno così drammatico, infatti quasi tutte le asset class obbligazionarie hanno registrato risultati fortemente negativi (anche oltre il -10%) sia sui governativi sia sul credito”, commenta Luca Longhi, responsabile Total Return Portfolio di Banca Generali, che aggiunge: “il rialzo tassi effettuato dalle banche centrali per contrastare l’inflazione in continua salita è stato il principale fattore di deterioramento soprattutto per i bond con duration elevata. Anche sul credito la volatilità ha colpito pesantemente e l’allargamento di spread è stato rilevante soprattutto sugli high yield (dove ci si attende un incremento dei Default Rate) e sugli emergenti (interessati anche dalle singole ripercussioni del conflitto Russo-Ucraina)”.
Tutti i dati sopra evidenziati mostrano ancora una volta un aspetto importante: nelle fasi negative dei mercati, ci sono delle classi di investimento che si muovono verso il basso ma ve ne sono alcune che invece seguono una direzione in controtendenza.
Il che dimostra l’importanza di avere un portafoglio ben diversificato, ripartito tra diverse asset class per equilibrare tra loro i rischi e le opportunità di guadagno, grazie all’aiuto di un consulente finanziario.
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