“Per il dollaro Usa”, dice Cominotto, “dovremmo assistere a una fase di stabilizzazione/debolezza del cambio con l’euro favorita soprattutto dal progressivo restringersi del differenziale dei tassi d’interesse tra gli Stati Uniti e l’Eurozona” Sulle scadenze a 12 mesi, per esempio si è già passati dai massimi estivi pari a circa 275 punti-base (2,75%) agli attuali circa 205 punti base (2,05%)”
Per lo yen giapponese, invece, la politica ultraespansiva della Bank of Japan è terminata con l’ultimo meeting di dicembre e il differenziale tassi rispetto al dollaro statunitense su scadenze brevi si colloca attualmente su livelli tra il 4,5 ed il 5%, toccati nel periodo della crisi asiatica della seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso e poi prima della crisi finanziaria del 2008, ai tempi del fallimento della banca d’affari Lehman Brothers. “Anche l’inflazione giapponese, pur bassa per gli standard occidentali”, continua Cominotto, “ha ormai superato il 3,5% e stride sempre più con tassi a zero o quasi. Tutto ciò dovrebbe portare ad una rivalutazione dello yen sia rispetto al dollaro Usa che all’euro”.
Infine, uno sguardo al Renmimbi cinese. L’attenuarsi della politica zero-Covid di Pechino, ormai in fase di revisione da parte delle autorità, unitamente ai costanti forti surplus commerciali per Cominotto dovrebbero riportare il tasso di cambio tra renmimbi e dollaro statunitense su livelli più bassi rispetto all’attuale 6,95.
Anche nel caso delle valute, il responsabile delle Gestioni Patrimoniali attive di Banca Generali menziona come principale rischio rispetto allo scenario sopra delineato quello di un aggravarsi o allargarsi del contesto bellico in Ucraina.