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Quanto pesa la crisi del Mar Rosso sull’Italia?
Quanto pesa la crisi del Mar Rosso sull’Italia?
24 gennaio 2024#WeeklyWatch

Quanto pesa la crisi del Mar Rosso sull’Italia?

Le ripercussioni sono molteplici a livello globale anche se sul fronte materie prime non si è registrata una volatilità eccessiva mentre i costi di trasporti sono aumentati notevolmente

Dopo gli allarmi delle associazioni di categoria e degli attori del commercio mondiale, è arrivato anche il faro della Banca d’Italia che, nel consueto bollettino mensile, ha messo nero su bianco come il trasporto navale in quelle acque interessi quasi il 16% delle importazioni italiane di beni di valore. E sebbene Via Nazionale evidenzi come, nonostante gli attacchi navali, i prezzi del greggio e del gas naturale siano rimasti contenuti non si esime da evidenziare che eventuali interruzioni nelle catene globali del valore, derivanti in particolare dagli attacchi al traffico navale nel Mar Rosso, o aumenti nei prezzi dell’energia causati da un’evoluzione sfavorevole della guerra in Medio Oriente, costituiscano ulteriori rischi al ribasso.

È ormai evidente a tutti che nella regione Sud del Mar Rosso è in corso un’escalation militare che sta sollevando non poche preoccupazioni per la stabilità geopolitica dell’area e che ha, e potrebbe avere, ripercussioni sul commercio globale.

Lo Stretto tra lo Yemen e Gibuti da anni è funestato da atti di pirateria ai danni delle navi mercantili che percorrono la rotta del Canale di Suez ma, negli ultimi 2 anni, si è passati da sporadici attacchi non organizzati di pirati somali a delle vere e proprie operazioni militari delle milizie Houthi, tribù sciita stanziata nel sud-ovest dello Yemen e sostenute, anche se non ufficialmente, dallo stato iraniano. Gli accadimenti più recenti hanno spinto alcune potenze occidentali ad aumentare, ormai da anni, la loro presenza in acque internazionali della zona con navi militari, fino ad arrivare agli attacchi missilistici mirati di poche settimane fa, coordinati da Usa e UK, che avevano come target delle basi e roccaforti Houthi.

Questa situazione ha ulteriormente evidenziato i contrasti interni all’Unione Europea dove alcuni Paesi quali Germania e Paesi Bassi sono più propensi ad azioni militari dirette mentre Italia, Spagna e Francia prediligono un posizionamento militarmente più neutrale ma nel contempo sono pronti a fornire navi militari a supporto e sorveglianza dell’area dello stretto. Tutte queste dispute stanno influenzando il commercio navale, con conseguenze dirette sulle materie prime e catene di approvvigionamenti globali. “Il Canale di Suez rappresenta la principale via commerciale mondiale tra i principali Paesi produttori asiatici e il continente europeo. Facendo un focus sull’Italia scopriamo che ben il 40% del nostro Import-Export passa dal canale di Suez (mentre è il 12% del traffico marittimo globale) e i principali porti italiani sono a rischio di perdere terreno a causa del blocco a favore dei porti nord-Europei di Rotterdam ed Amburgo che sono ‘favoriti’ dalla rotta di circumnavigazione del continente africano”, commenta Luca Longhi, head of Total Return Portfolio di Banca Generali. “A queste problematiche si aggiungono anche le preoccupazioni per l’approvvigionamento energetico dato che il Mar Rosso è una rotta fondamentale per il transito di materie prime energetiche, in particolare il petrolio e il gas naturale liquefatto”, prosegue Longhi.

Non solo l’Italia è stata interessata dall’impatto di questi accadimenti, le ripercussioni sono molteplici a livello globale anche se sul fronte materie prime non si è registrata una volatilità eccessiva mentre i costi di trasporti sono aumentati notevolmente. “Il petrolio, dopo una prima impennata dei prezzi ha leggermente ritracciato per poi stabilizzarsi nel range 72-74$ al barile, non molto al di sopra della chiusura di fine 2023, ciò è dovuto ad un livello elevato delle scorte in Europa ed ad una fornitura che ad oggi non si è interrotta ma solo leggermente rallentata (dallo stretto Bab-al-Mandaq transitano circa 7.8 milioni di barili di greggio al giorno in direzione di Suez e dell’oleodotto Sumed che collega il Mar Rosso al Mediterraneo evitando alle petroliere l’oneroso transito dal Canale di Suez). Molto più rilevante, invece, l’impatto sui costi di trasporto marittimo con una drastica riduzione (oltre il 20% a Dicembre e 90% da inizio Gennaio ) dei transiti dalla ‘Porta delle Lacrime’ e la scelta delle più grandi compagnie di shipping mondiale che per la rotta Cina-Europa hanno optato per la circumnavigazione dell’Africa che prevede circa  3500 miglia in più che corrispondono ad oltre 10 giorni di navigazione da aggiungersi ai già 35 della rotta ‘normale’ ”, aggiunge l’esperto di Banca Generali.

Il WCI “World Container Index”, indice di riferimento del costo di spedizione dei container sulle trade route East-West è aumentato da inizio anno di circa il 40% passando da 2700$ a 3770$. “Le prime ‘vittime illustri’ delle catene di approvvigionamento sono nel settore automobilistico con Tesla che ha dovuto sospendere la produzione nella Gigafactory di Berlino ed altri marchi che hanno interrotto la produzione in Turchia, principale polo produttivo del mediterraneo. Se la situazione attuale non dovesse risolversi in tempi rapidi si innescherebbe nuovamente il rischio di un incremento dell’inflazione”, conclude Longhi.

Luca Longhi, Head of Total Return Portfolio di Banca Generali Luca Longhi, Head of Total Return Portfolio di Banca Generali
Il Canale di Suez rappresenta la principale via commerciale mondiale tra i principali Paesi produttori asiatici e il continente europeo. Facendo un focus sull’Italia scopriamo che ben il 40% del nostro Import-Export passa dal canale di Suez (mentre è il 12% del traffico marittimo globale) e i principali porti italiani sono a rischio di perdere terreno a causa del blocco a favore dei porti nord-Europei di Rotterdam ed Amburgo che sono ‘favoriti’ dalla rotta di circumnavigazione del continente africano.

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