Su un orizzonte di alcuni mesi, mentre una vittoria di Trump potrebbe portare a maggiore volatilità legata alle tensioni commerciali, una vittoria di Harris potrebbe favorire la stabilità e le politiche climatiche, con effetti diversi anche su vari settori del mercato europeo.
Elezioni Usa, come si muoverà il mercato tra Trump e Harris
Nelle ultime settimane di una corsa alla Casa Bianca che si preannuncia all’ultimo voto, i mercati si preparano all’esito delle elezioni. Tra tariffe, politiche green e aumento della spesa pubblica, come orientarsi sui mercati post-5 novembre.
Manca meno di una settimana alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, una sfida che si annuncia “all’ultimo voto” ed è stata preceduta da una delle campagne elettorali più ricche di colpi di scena da molti decenni a oggi.
Il duello per la Casa Bianca, tra Kamala Harris per il Partito Democratico e l’ex presidente Donald Trump per quello Repubblicano, non sembra però aver influenzato molto i mercati finanziari, che hanno concentrato i loro sguardi sui temi più macroeconomici.
Nelle ultime settimane, pur in un contesto di mercati ‘tranquilli’, gli investitori sembrano comunque aver prezzato alcune scommesse sulla vittoria di Trump, parallelamente al suo trend di rimonta nei sondaggi. Il voto sembra comunque destinato a essere un testa a testa. Negli ‘swing states’, gli Stati chiave in bilico che spesso finiscono per determinare il vincitore della corsa (come Pennsylvania, Michigan, Georgia o Arizona), si preannuncia un testa a testa.
Ed è questo lo scenario con cui le Borse si avvicinano all’Election Day di martedì 5 novembre e ancora di più alla seduta di mercato del giorno successivo. E come sempre quando si parla di politica, qualche turbolenza nel breve periodo non sembra poter essere da escludere.
“Nel corso delle ultime settimane hanno pagato i cosiddetti “Trump Trades” con posizioni ribassiste sui Treasury e positive sul mercato azionario americano. In caso di una vittoria di Harris, su un orizzonte di breve termine, potremmo una certa volatilità dovuta alla necessità degli investitori di ‘liquidare’ le loro scommesse su una vittoria di Donald Trump. Viceversa, il mercato potrà continuare ad essere sostenuto fino alla fine dell’anno nel caso di una vittoria dell’ex Presidente, in particolare con un Congresso diviso che ne limiti l’autonomia in termini di legislazione”, spiega Andrea Mongardini, portfolio manager di Banca Generali.
In ogni caso, le tematiche macroeconomiche rimarranno il focus dei mercati.
“Riteniamo che le condizioni fondamentali negli Stati Uniti continuino ad essere solide. La crescita continua ad essere buona nella misura del 3% accompagnata da un’inflazione in calo e da un mercato del lavoro che si sta dimostrando più solido e resistente del previsto. I fattori stagionali e le tendenze storiche sono inoltre favorevoli alle azioni in particolare se non si dovesse arrivare ad una conta all’ultimo voto. Questo anche grazie al fatto che la Federal Reserve è riuscita fino a questo momento a garantire un soft landing dell’economia statunitense e sembra ormai indirizzata verso una prosecuzione del taglio dei tassi di interesse”, continua Mongardini.
Allargando lo sguardo alle potenziali conseguenze delle politiche dei due candidati, lo scenario è più complesso e si potrebbero presentare diverse opportunità in settori specifici, dentro e fuori dagli Stati Uniti.
“In caso di una vittoria repubblicana, le small cap potrebbero rimbalzare dopo la sottoperformance registrata negli ultimi anni grazie, all’implementazione di dazi protezionistici e di politiche fiscali più favorevoli per i profitti realizzati dalle attività commerciali svolte all’interno dei confini americani. Inoltre, le politiche di Trump favorirebbero l’industria dei combustibili fossili, riducendo le regolamentazioni ambientali e promuovendo la produzione interna di petrolio e gas. Trump ha inoltre promesso investimenti significativi in infrastrutture, il che potrebbe favorire le aziende di costruzioni e relativi fornitori”, commenta il gestore di Banca Generali.
“Nel complesso, l’attenzione degli investitori è attualmente più concentrata sulle implicazioni dei potenziali dazi dell’amministrazione Trump, che potrebbero portare a tensioni commerciali con l’Unione Europea e soprattutto con la Cina, piuttosto che sulla spesa in deficit che in ogni caso aumenterà anche in caso di vittoria di Harris. Lato obbligazionario, le attese sono infatti per una salita dei rendimenti del Treasury decennale, più marcato nel caso di una vittoria repubblicana”, continua Mongardini.
Nel corso della campagna elettorale Trump ha più volte avanzato l’ipotesi di ricominciare la guerra commerciale fatta di dazi e tariffe che ha caratterizzato il suo primo mandato e in particolare gli anni 2018 e 2019. Cina ed UE sembrano i due bersagli favoriti da Trump al momento, ma l’ex presidente non ha escluso neppure di applicare un dazio doganale del 10% a tutti i beni importati negli Stati Uniti dal resto del mondo, che, secondo quanto indicato dal Washington Post, superano ogni anno i 3.000 miliardi di dollari.
L’UE, secondo quanto riportato dal Financial Times, sta prendendo molto seriamente le proposte elettorali di Trump, e la Commissione sarebbe già al lavoro su una strategia per proporre un accordo a Washington che preveda l’aumento dell’import dagli Stati Uniti, per scongiurare il rischio di dazi punitivi. Goldman Sachs ha stimato di recente che l’euro potrebbe scendere fino al 10 per cento rispetto al dollaro se Trump dovesse imporre dazi ad ampio spettro e tagliare le tasse negli Usa.
In caso di vittoria di Harris, invece, “in un orizzonte di breve termine il dollaro potrebbe indebolirsi, ci si potrebbe attendere potenziali aumenti delle tasse e un orientamento generale verso politiche favorevoli al clima, favorendo i settori azionari come l’industriale europeo rispetto temi come energia e sanità, così come le azioni dei mercati emergenti sensibili a un dollaro più debole”, spiega Mongardini.
“In sintesi, su un orizzonte di alcuni mesi, mentre una vittoria di Trump potrebbe portare a maggiore volatilità legata alle tensioni commerciali, una vittoria di Harris potrebbe favorire la stabilità e le politiche climatiche, con effetti diversi sui vari settori del mercato europeo”, aggiunge l’esperto.
Un elemento comune ai programmi di politica economica dei due candidati però c’è, ed è come detto l’aumento della spesa pubblica, andando a impattare sul già mostruoso deficit di bilancio dell’amministrazione Usa. “Se spostiamo l’orizzonte temporale più in là nel tempo a livello di politica fiscale entrambi i candidati aumenteranno la spesa pubblica generando un ulteriore aumento del debito pubblico”, conclude Mongardini.