Mentre gli Usa sono ormai indipendenti dal punto di vista energetico, l’Europa è ancora dipendente dal gas russo. Dunque, la scarsità di gas e gli elevati livelli dei prezzi di questa materia prima energetica sono una spinta per il carovita nel Vecchio Continente. Per questo, come già annunciato, la Bce dovrà dare ulteriori strette la costo del denaro.
Inflazione o recessione? La sfida delle Banche Centrali
Inflazione o recessione? Ecco il dilemma che oggi assilla le più importanti banche centrali del mondo.
Dalla Federal Reserve negli Stati Uniti alla Bce in Europa, che devono “maneggiare” con cura la politica monetaria, cioè attuare con sapienza i rialzi dei tassi d’interesse, rimasti inchiodati per molti anni vicini allo zero su entrambe sponde dell’Atlantico.
Oggi, come sa chi segue le cronache quotidiane, i maggiori paesi industrializzati sono infatti interessati da un’ondata di inflazione, che non si vedeva da trent’anni. Sia aldilà che al di qua dell’Atlantico, l’aumento dei prezzi al consumo ha superato l’8-9%, mettendo gravemente a rischio il potere di acquisto dei consumatori e dei lavoratori. Sia la Fed che la Bce, per frenare l’ondata inflazionistica, hanno già iniziato ad alzare i tassi d’interesse, visto che la politica monetaria è l’arma più potente che hanno a disposizione contro il caro-prezzi.
Alzando i tassi, detto a grandi linee, si riduce la infatti quantità di moneta in circolazione e, di conseguenza, anche la spinta ai consumi e ai prezzi. Non manca però l’altra faccia della medaglia. Il rialzo dei tassi, deprimendo i consumi e gli investimenti, è anche un freno alla crescita economica. In altre parole, se il costo del denaro viene aumentato troppo o troppo velocemente, il pil rischia di andare in recessione, cioè sotto lo zero.
Le prospettive in Europa
Cosa aspettarsi dunque nei prossimi mesi? Innanzitutto una premessa: la spinta al rialzo dei prezzi è un fenomeno che è iniziato già lo scorso anno con la fine della pandemia del Covid -19. La ripresa delle attività economiche ha infatti generato una forte domanda di beni e servizi, che non è stata adeguatamente soddisfatta dall’offerta. E come sempre avviene in situazioni di questo tipo, i prezzi hanno ricevuto una spinta verso l’alto.
Poi è scoppiata la guerra in Ucraina, che ha provocato una scarsità di materie prime, non soltanto del gas esportato da Mosca ma anche di commodity agricole prodotte in Ucraina. Dante Roscini, professore della Harvard Business School, invita però a guardare con ottiche diverse quanto sta accadendo in Europa e negli Stati Uniti. “Mentre gli Usa sono ormai indipendenti dal punto di vista energetico, l’Europa è ancora dipendente dal gas russo”, spiega Roscini.
Dunque, la scarsità di gas e gli elevati livelli dei prezzi di questa materia prima energetica sono una spinta per il carovita nel Vecchio Continente. Per questo, come già annunciato, la Bce dovrà dare ulteriori strette al costo del denaro, alzando ancora i tassi d’interesse per fermare l’inflazione, approfittando del fatto che la disoccupazione in Europa è ai minimi. Ci sono dunque margini di manovra perché una frenata dell’economia, conseguente al carotassi, non abbia effetti troppo pesanti dal punto di vista occupazionale.
Fatte queste premesse, Roscini sottolinea come la prospettiva di una recessione in Europa nel 2023 sia dunque da considerarsi probabile, anche se le autorità di politica monetaria dovranno ovviamente pesare sul piatto della bilancia tutti i costi e i benefici, in primis il rischio di una frammentazione dell’area euro, come è già avvenuto in passato in tempi di crisi.
Le prospettive negli Stati Uniti
La situazione è diversa negli Stati Uniti dove, a ben guardare, ci sono già stati due trimestri con il Pil negativo e dove i tassi d’interesse sono stati innalzati dalla Federal Reserve più velocemente che sull’altra sponda dell’oceano.
Negli Usa, sottolinea Roscini, ci sono oggi segnali contrastanti. Alcuni indicatori fanno pensare che il picco dell’inflazione sia già stato raggiunto e che dunque la banca centrale possa essere più morbida del previsto nella politica di aumento del costo del denaro: il prezzo della benzina è sceso notevolmente negli ultimi mesi, così come il costo delle case, mentre il livello delle scorte è al record da vent’anni a questa parte. Inoltre, il dollaro forte può avere effetti deflazionistici perché fa diminuire il costo dei beni importati.
Allo stesso tempo, ci sono altri indicatori che fanno pensare il contrario: la disoccupazione è infatti ai minimi e la scarsità di manodopera spinge al rialzo i salari, che hanno poi effetti indiretti sulla crescita dei prezzi. Anche il costo degli alloggi è in rialzo e alcune analisi fanno pensare che, dopo gli effetti della rivoluzione informatica, abbia raggiunto un picco e non sia destinata a crescere significativamente nei prossimi anni.
Di solito, l’aumento della produttività del lavoro fa diminuire l’inflazione perché rende accessibili beni e servizi a costi minori mentre un calo della produttività ha effetti inflazionistici. Anche la Federal Reserve dovrà dunque pesare sul piatto della bilancia i costi e i benefici di un rialzo dei tassi. Attualmente, ci sono ancora margini di manovra perché il costo del denaro (oggi già sopra il 3%) aumenti ulteriormente nel corso del 2023. Tuttavia, proprio per i segnali contrastanti sull’inflazione sopra descritti, non è detto che gli Stati Uniti subiscano una frenata pesante dell’economia attraversino una fase di recessione nell’arco di un anno.
PIL e crescita: la situazione in Cina
Assai articolata è anche la situazione in Cina dove ci sono fattori che spingono verso un rallentamento economico, dopo anni di crescita impetuosa.
Uno di questi fattori è la politica di contenimento del Covid-19, che spinge sempre le autorità di Pechino a mettere in atto severi lockdown, visto che il vaccino cinese ha mostrato una scarsa efficacia.
Il secondo fattore è il calo del prezzo delle case, che sono oggi di circa il 40% inferiori rispetto ai livelli di picco toccati negli anni passati. È un dato tutt’altro che trascurabile se si considera che circa due terzi della ricchezza delle famiglie cinesi è rappresentata da asset immobiliari.
Non manca però un aspetto che spinge in direzione contraria. In Cina, il potere del presidente Xi Jinping appare quanto mai solido ad è assai probabile la sua rielezione nel prossimo congresso del Partito Comunista. Aldilà degli aspetti politici, per molti analisti il rafforzamento della leadership di Xi Jinping dovrebbe avere effetti positivi sul Pil, dopo i recenti rallentamenti, per via di una nuova politica economica espansiva da parte del governo.
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