Niente si ottiene in guerra e finanza se non per mezzo di precisi calcoli. L’aforisma – attribuito da più parti a Napoleone e adattato da filosofi moderni – calza a fatica con l’attuale contesto geopolitico e macroeconomico. Mentre si moltiplicano le previsioni di analisti e osservatori è sempre più evidente che con l’attuale volatilità dei mercati e la velocità con cui si susseguono attriti e tensioni la parola chiave in Borsa così come nei portafogli è: prudenza.
Non è ancora chiaro, infatti, se gli eventi in Medio Oriente avranno un impatto sulla politica monetaria in Europa e negli Stati Uniti. E questa è solo una delle incognite all’orizzonte. Generalmente l'incertezza tende a portare all'acquisto di beni rifugio, che in determinati scenari potrebbero vedere un'inversione di tendenza nel recente aumento dei rendimenti dei titoli di Stato.
Corrado Cominotto, responsabile gestioni patrimoniali attive, area asset management di Banca Generali, spiega in questo modo il concetto: “Il conflitto a cui stiamo assistendo in questi ultimi giorni in Palestina rappresenta certamente una fonte di volatilità in più in un contesto macroeconomico caratterizzato dall’incertezza già presente derivante dalle prossime mosse delle banche centrali volte al contenimento dell’inflazione”.
Va ricordato che la situazione attuale si presenta in maniera diversa da quella che aveva caratterizzato il conflitto tra Israele e una coalizione di nazioni arabe, principalmente Egitto e Siria, che è scoppiato il 6 ottobre 1973, durante il giorno di Yom Kippur, il giorno più sacro nell'ebraismo.
“Allora l'Egitto e la Siria avevano il sostegno di molti Paesi arabi, e l'Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) decise di utilizzare il petrolio come arma politica. L'OPEC dichiarò un embargo petrolifero contro gli Stati Uniti e altri paesi visti come sostenitori di Israele comportando un aumento del prezzo del petrolio da 3 a 12 dollari al barile con conseguenti effetti negativi sull'economia globale”, ricorda Cominotto.