Per ciò che concerne i prossimi mesi i principali operatori di mercato prevedono un miglioramento della crescita economica cinese.
I mercati emergenti: opportunità e rischi di investimento
Un ribasso di oltre il 26% in un anno. È la performance registrata tra il settembre del 2021 e il settembre del 2022 dall’Msci Emerging Markets, indice azionario che raggruppa i titoli delle più importanti aziende quotate sui mercati emergenti
Chi ha puntato su quest’area geografica, che in passato ha dato molte soddisfazioni agli investitori e che nel lungo periodo viene considerata dalle case d’investimento ancora piena di opportunità, negli ultimi 12 mesi ha invece masticato amaro, fatta eccezione per agosto dove abbiamo assistito a una migliore tenuta dell’equity emergente nel panorama azionario globale.
Mercati emergenti: performance negative e contesto geopolitico
Alla base di tutto c’è un mix concomitante di fattori, che sono poi gli stessi che pesano sull’andamento dell’economia mondiale: il rincaro delle materie prime, l’inflazione, il conseguente aumento dei tassi d’interesse e la rivalutazione del dollaro sui mercati valutari.
Nessuno di questi fattori è stato favorevole ai mercati emergenti (in inglese emerging markets, secondo il gergo utilizzato nella comunità finanziaria internazionale).
È vero che ci sono molte nazioni emergenti che sono anche grandi esportatrici di materie prime. In teoria, i rincari dovrebbero essere a loro favorevoli. Tuttavia, i recenti aumenti dei prezzi delle commodity non sono stati innescati da una spinta della domanda internazionale. Questo era vero con la ripresa economica iniziata subito dopo la pandemia. Poi, però, c’è stata una improvvisa strozzatura dell’offerta. Colpa della guerra tra Russia e Ucraina che ha fatto addirittura aleggiare lo spettro di una totale paralisi delle esportazioni di gas o di petrolio da parte di Mosca ma anche di una scarsità delle materie prime agricole, di cui Kiev era una grande esportatrice.
L’inflazione e i rincari delle commodity che ricordano gli anni ’80
I rincari delle commodity sono stati poi la principale causa della fiammata dell’inflazione che in Occidente, sia in Europa che in America, è tornata sopra l’8-9%, un livello che non si vedeva dagli anni ’80 del secolo scorso. Per frenare l’inflazione, le banche centrali hanno iniziato a rialzare i tassi d’interesse.
E la più decisa su questo fronte è stata la Federal Reserve, cioè la banca centrale americana, che ha ritoccato più volte all’insù il costo del denaro facendo apprezzare il dollaro. Con il rialzo dei tassi, sono infatti cresciuti anche i rendimenti dei titoli di stato USA. Il che ha regalato ovviamente appeal al dollaro tra gli investitori, causandone una rivalutazione sul mercato dei cambi.
Questa serie concatenata di eventi non è stata però favorevole ai mercati finanziari dei paesi emergenti, in primis per un motivo. Molti emerging markets hanno una parte consistente del loro debito denominato in dollari. Un apprezzamento del biglietto verde, dunque, per loro rappresenta un maggior costo del debito e dei finanziamenti sui mercati internazionali. Questo è lo scenario che ha caratterizzato l’ultimo anno.
Mercati emergenti: e la Cina?
“Gli emerging markets nel corso dalla metà del mese di agosto hanno registrato ritorni superiori alla media dei listini dei paesi sviluppati, grazie in particolar modo alla performance del mercato cinese che, da solo, pesa il 30% circa dell’indice generico dei paesi emergenti”, dice Corrado Cominotto, responsabile delle Gestioni Patrimoniali Attive di Banca Generali, che sottolinea come Il mercato cinese abbia recentemente beneficiato delle politiche fiscali e monetarie espansive attuate dal governo e dalla banca centrale. “Per ciò che concerne i prossimi mesi”, aggiunge Cominotto, “i principali operatori di mercato prevedono un miglioramento della crescita economica cinese”. Sembra dunque esserci una schiarita dopo le discusse politiche di Covid Zero volute da Pechino, con cui il governo ha cercato di arrestare la pandemia con pesanti restrizioni, a costo di danneggiare l’economia.
Oltre a queste considerazioni sull’economia di Pechino, c’è un aspetto importante che gli investitori non devono trascurare. Spesso, i mercati emergenti vengono visti dall’esterno come se fossero una realtà uniforme. A ben guardare, oggi rappresentano un universo variegato e complesso, a cui è bene avvicinarsi avvalendosi della perizia di un consulente finanziario, visto l’elevato livello di dispersione e di volatilità presente nei diversi mercati “A titolo d’esempio”, conclude il responsabile delle Gestioni Patrimoniali Attive di Banca Generali, “dall’inizio dell’anno si osserva una differenza di performance di circa il 70% in euro tra paesi come Turchia (+50%) e la Corea (-20%)”.
Sullo sfondo resta però l’incognita di uno scenario macroeconomico molto difficile da interpretare. Non sono state indubbiamente rassicuranti le parole Niall Ferguson, storico e saggista, intervenuto di recente al Forum Ambrosetti di Cernobbio. Se oggi molti osservatori internazionali paragonano lo scenario attuale a quello vissuto negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, per Ferguson non è detto che le cose non possano andare addirittura peggio rispetto ad allora.
Anche negli anni ’70 ci fu una inflazione elevata causata dagli errori di politica monetaria compiuti in precedenza. E anche allora c’era una guerra, il conflitto arabo-israeliano del 1973, che portò poi a una crisi energetica. "Questa guerra sta però durando molto più a lungo di quella del 1973”, ha ricordato Ferguson, “quindi lo shock energetico che sta causando sarà effettivamente più sostenuto”. Gli investitori, insomma, devono abituarsi a convivere con la volatilità ancora per un pò.