I gestori dei fondi e gli esponenti della comunità finanziaria non sembrano propensi a concedersi troppo ottimismo e tengono i piedi per terra, soprattutto guardando a ciò che avviene dall'altra parte dell'Atlantico. Negli Stati Uniti, molti temono ancora che si possa andare incontro ad una mite recessione nei prossimi mesi. Nel primo trimestre dell'anno, il Pil americano ha deluso le aspettative, fermandosi a una crescita dell'1,1% rispetto all’1,9% stimato. Inoltre, come sa bene chi ha seguito le cronache finanziarie dei mesi scorsi, negli Usa c'è stata una nuova crisi bancaria con il fallimento di Silicon Valley Bank e le tensioni per le sorti delle banche regionali che hanno aumentato i timori per una stretta sul credito nel corso del 2023. Meno prestiti alle imprese e alle famiglie, infatti, potrebbero tradursi in un rallentamento dell'economia più marcato delle attese.
Inoltre, non va dimenticato che Oltreoceano c'è un’ inflazione che cala ma al tempo stesso resiste: ad aprile è cresciuta al ritmo del 4,9% su base annua, il minimo da due anni, ma la componente core (che non tiene conto dei beni dai prezzi più volatili come gli alimentari e l'energia) è cresciuta ad un tasso stabile al 5,5%, in linea con le aspettative. “L’inflazione, pur inferiore ai massimi, eccede ancora gli obiettivi delle autorità monetarie”, dice Stefano Negri, responsabile delle Gestioni Quantitative e delle Unit Linked di Banca Generali, che sottolinea come i principali indicatori macroeconomici forniscano segnali contrastanti.
“Il mercato del lavoro resta surriscaldato”, aggiunge Negri, “il dato sui nuovi occupati negli Stati Uniti è uscito in crescita di 253mila nuove buste paga contro le 185mila attese”. Inoltre, Negri sottolinea come la stima di crescita del Pil nel 2023, trainate dalla crescita del settore dei servizi, non diano per il momento segni di vero cedimento. Anche l’ISM manifatturiero del mese di aprile (il sondaggio effettuato tra i responsabili degli acquisti delle aziende, che rivela se il sistema produttivo si sta espandendo o meno), pur restando sotto la soglia dei 50 punti, è risultato in miglioramento rispetto al dato di marzo (47,1 punti ad aprile contro i 46,3 del mese precedente). Sul fronte opposto, a far pensare a una possibile recessione c'è l'inversione della curva dei tassi USA e di quella europea. È una situazione in cui i rendimenti dei titoli di Stato di scadenza a 2 anni superano quelli con durata a 10 anni. Si tratta di un'anomalia poiché i bond con durata più breve, essendo meno rischiosi perché meno esposti all'aumento dei tassi, hanno normalmente rendimenti più bassi di quelli con scadenza lunga.
Proprio perché è un'anomalia, l'inversione della curva dei rendimenti viene considerata dagli analisti come il segnale di una potenziale recessione alle porte. Il mercato, infatti, si aspetta che la banca centrale americana (la Federal Reserve) mantenga i tassi di interesse su livelli ancora elevati nel breve termine per frenare l'inflazione, per poi abbassarli successivamente, quando l'economia dovesse iniziare a rallentare eccessivamente o a decrescere.