Sulla componente azionaria deve essere adottato un approccio prudente e neutrale rispetto alla propensione al rischio dell’investitore, mentre la componente obbligazionaria è da sovrappesare sui portafogli, in particolar modo sulle durate a breve termine.
Prepararsi alla recessione?
I gestori dei fondi e gli esponenti della comunità finanziaria non sembrano propensi a concedersi troppo ottimismo e tengono i piedi per terra.
Arriva o non arriva la recessione? Ecco il dilemma su cui oggi si dividono le opinioni degli analisti delle case d'investimento ma anche degli stategist di molte società di gestione italiane e internazionali, che si interrogano sulle prospettive dell'economia mondiale e soprattutto su quelle dei maggiori paesi occidentali, dagli Stati Uniti all'Europa, passando per la Gran Bretagna. Non a caso, la recessione è stato uno dei temi di fondo anche del Salone del Risparmio 2023, in calendario dal 16 al 18 maggio al centro congressi MiCo di Milano, dove si sono riuniti i manager delle principali sgr e società di asset management attive nel nostro Paese.
Nonostante il tema sia sempre più chiacchierato, al momento, i dati macroeconomici non sembrano segnalare una recessione a livello globale alle porte. Molti dati sono infatti risultati migliori del previsto, almeno in Europa. Inoltre, nelle ultime previsioni di primavera, la Commissione Ue ha infatti alzato di qualche decimo di punto le stime sulla crescita del Pil nell'Eurozona nel 2023, fissandole all'1,1%. L'Italia dovrebbe fare ancor meglio del resto del continente, con un prodotto interno lordo in crescita dell'1,2% su base annua, contro lo 0,8% stimato in precedenza dalle autorità di Bruxelles.
Dunque il rischio recessione può dirsi scongiurato?
I gestori dei fondi e gli esponenti della comunità finanziaria non sembrano propensi a concedersi troppo ottimismo e tengono i piedi per terra, soprattutto guardando a ciò che avviene dall'altra parte dell'Atlantico. Negli Stati Uniti, molti temono ancora che si possa andare incontro ad una mite recessione nei prossimi mesi. Nel primo trimestre dell'anno, il Pil americano ha deluso le aspettative, fermandosi a una crescita dell'1,1% rispetto all’1,9% stimato. Inoltre, come sa bene chi ha seguito le cronache finanziarie dei mesi scorsi, negli Usa c'è stata una nuova crisi bancaria con il fallimento di Silicon Valley Bank e le tensioni per le sorti delle banche regionali che hanno aumentato i timori per una stretta sul credito nel corso del 2023. Meno prestiti alle imprese e alle famiglie, infatti, potrebbero tradursi in un rallentamento dell'economia più marcato delle attese.
Inoltre, non va dimenticato che Oltreoceano c'è un’ inflazione che cala ma al tempo stesso resiste: ad aprile è cresciuta al ritmo del 4,9% su base annua, il minimo da due anni, ma la componente core (che non tiene conto dei beni dai prezzi più volatili come gli alimentari e l'energia) è cresciuta ad un tasso stabile al 5,5%, in linea con le aspettative. “L’inflazione, pur inferiore ai massimi, eccede ancora gli obiettivi delle autorità monetarie”, dice Stefano Negri, responsabile delle Gestioni Quantitative e delle Unit Linked di Banca Generali, che sottolinea come i principali indicatori macroeconomici forniscano segnali contrastanti.
“Il mercato del lavoro resta surriscaldato”, aggiunge Negri, “il dato sui nuovi occupati negli Stati Uniti è uscito in crescita di 253mila nuove buste paga contro le 185mila attese”. Inoltre, Negri sottolinea come la stima di crescita del Pil nel 2023, trainate dalla crescita del settore dei servizi, non diano per il momento segni di vero cedimento. Anche l’ISM manifatturiero del mese di aprile (il sondaggio effettuato tra i responsabili degli acquisti delle aziende, che rivela se il sistema produttivo si sta espandendo o meno), pur restando sotto la soglia dei 50 punti, è risultato in miglioramento rispetto al dato di marzo (47,1 punti ad aprile contro i 46,3 del mese precedente). Sul fronte opposto, a far pensare a una possibile recessione c'è l'inversione della curva dei tassi USA e di quella europea. È una situazione in cui i rendimenti dei titoli di Stato di scadenza a 2 anni superano quelli con durata a 10 anni. Si tratta di un'anomalia poiché i bond con durata più breve, essendo meno rischiosi perché meno esposti all'aumento dei tassi, hanno normalmente rendimenti più bassi di quelli con scadenza lunga.
Proprio perché è un'anomalia, l'inversione della curva dei rendimenti viene considerata dagli analisti come il segnale di una potenziale recessione alle porte. Il mercato, infatti, si aspetta che la banca centrale americana (la Federal Reserve) mantenga i tassi di interesse su livelli ancora elevati nel breve termine per frenare l'inflazione, per poi abbassarli successivamente, quando l'economia dovesse iniziare a rallentare eccessivamente o a decrescere.
Andranno davvero così le cose?
“Il 3 maggio la Fed ha alzato di 25 punti base il costo del denaro al 5% - 5,25%, livello massimo da giugno 2006”, continua Negri, “è il decimo aumento negli ultimi 14 mesi per 500 punti base complessivi. Le principali banche centrali continuano nella stretta monetaria anche se si cominciano ad intravvedere i primi segnali di allentamento: pur non escludendo ulteriori rialzi da parte della Fed la probabilità che ciò avvenga è inferiore rispetto al recente passato”.
Ci troviamo dunque di fronte a uno scenario complesso, in cui diversi fattori sembrano remare in direzioni opposte. Da un lato c'è la crisi bancaria, il caro-tassi e l'inversione della curva dei rendimenti che fanno pensare a una recessione in arrivo. D'altro canto, però, la bassa disoccupazione, l'inflazione che resiste e gli indici manifatturieri in leggero miglioramento sembrano invece dare il segno di un'economia ancora tonica. In un quadro d'incertezza, sorge spontaneo un interrogativo: come devono comportarsi gli investitori?
“Sulla componente azionaria deve essere adottato un approccio prudente e neutrale rispetto alla propensione al rischio dell’investitore”, dice ancora il responsabile delle Gestioni Quantitative e delle Unit Linked di Banca Generali, “mentre la componente obbligazionaria è da sovrappesare sui portafogli, in particolar modo sulle durate a breve termine con particolare riferimento ai bond governativi della fascia 1-3 anni”. Riguardo alla componente a lungo termine, maggiormente soggetta al rischio di un’inflazione più duratura del previsto, secondo il manager di Banca Generali, si ritiene più congruo focalizzarsi nei mercati dove la curva non è invertita (come quella domestica), sfruttando così le fasi di volatilità al fine di accumulare rendimenti che potranno costituire una buona base di portafoglio (livelli impensabili a metà dello scorso anno).