FED, il rialzo dei tassi e l'impatto sui mercati finanziari
Il 2 novembre la FED ha annunciato un rialzo dei tassi d'interesse dello 0,75%
È l’ultima decisione della Federal Reserve (Fed), la banca centrale statunitense, che ha innalzato di nuovo i tassi d’interesse negli Stati Uniti, portandoli tra il 3,75% e il 4%. È un livello che non si vedeva dal lontano 2008, prima della grande crisi economica e finanziaria che ha portato al crack della banca d’affari Lehman Brothers.
Il governatore della Fed, Jerome Powell, ha annunciato il prosieguo della stretta monetaria (così viene chiamato in gergo tecnico il ritocco all’insù dei tassi) con un obiettivo dichiarato: stemperare la fiammata dell’inflazione, che in America è ben sopra l’8% su base annua, una cifra che non si registrava da 40 anni. La Federal Reserve continua dunque a muoversi sulla stessa strada intrapresa sinora: quella dell’aumento del costo del denaro, in linea con le decisioni della Banca Centrale Europea. Quest’ultima a fine ottobre ha infatti effettuato un aumento dello 0,75%.
Jerome Powell, la politica monetaria della FED
Oltre alle decisioni comunicate da Powell, la comunità finanziaria ha dimostrato forte interesse per le parole del governatore durante la conferenza stampa successiva alla riunione dei vertici della Fed. Come sempre avviene con le dichiarazioni dei banchieri centrali, è importante capire quale direzione la politica monetaria prenderà nei prossimi mesi.
Purtroppo, su questo punto il governatore della Fed non ha aiutato i mercati a chiarirsi le idee. Nella sua conferenza stampa, non ha escluso infatti che a dicembre possa esserci un aumento dei tassi più contenuto, cioè pari allo 0,5%, contro i precedenti aumenti dello 0,75%.
Contemporaneamente, però, lo stesso Powell ha annunciato che il livello del costo del denaro, una volta terminata la manovra restrittiva, potrebbe essere più alto di quanto preventivato sinora.
Politica monetaria e inflazione: cosa aspettarsi?
Per Rony Hamaui, professore presso il Dipartimento di Economia e Finanza della Cattolica, è probabile che la politica monetaria restrittiva delle banche centrali, su entrambe le sponde dell’Atlantico, duri più a lungo del previsto. “I rialzi dei tassi potrebbero non essere ciascuno dell’ordine dello 0,75% come quelli visti sinora”, dice Hamaui, “ma è difficile che si interrompano nel breve e che la dinamica dei prezzi torni velocemente a livelli molto più bassi di oggi”.
Per il professore della Cattolica è infatti probabile che i prezzi al consumo al lordo delle materie prime energetiche e alimentari nei prossimi mesi comincino a rallentare, ma è altrettanto plausibile che “l’inflazione core (al netto di energia ed alimentari), a cui le autorità monetarie guardano con maggior attenzione, diminuisca molto lentamente. Ecco perché è difficile che la salita dei tassi d’interesse possa cessare prima che l’economia cada in recessione”. Hamaui ricorda una massima dell’economista Michael Bruno che diceva: “L’inflazione somiglia al fumo: una volta che si supera una soglia minima, è molto difficile sfuggire a una sua dipendenza”. Per contrastarla ci vogliono dunque grande determinazione e parecchi sacrifici.
Azionario o obbligazionario?
Da sempre i mercati non amano l’incertezza e oggi si trovano di fonte a incognite i cui effetti si riflettono sulle quotazioni sia dei mercati obbligazionari che azionari.
I rendimenti offerti dai bond sono ben più consistenti di quelli espressi all’inizio del ciclo restrittivo di politica monetaria, ma, proprio per l’incertezza che ancora caratterizza l’andamento dell’inflazione e le conseguenti scelte delle autorità monetarie, i mercati obbligazionari sono potenzialmente soggetti ad ulteriore volatilità nelle quotazioni.
Per quanto riguarda le azioni, la stagione delle trimestrali (cioè la pubblicazione dei bilanci sul terzo trimestre del 2022 da parte delle aziende quotate) negli Stati Uniti e in Europa sta confermando che c’è un rallentamento della crescita economica con effetti negativi sulla redditività aziendale. Il processo di revisione al ribasso delle stime sugli utili per i prossimi trimestri potrebbe dunque pesare sui mercati azionari, riducendo l’ottimismo sulle prospettive delle società.