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Recessione sì o no? Un inverno freddo non solo per il gas
Recessione sì o no? Un inverno freddo non solo per il gas
21 settembre 2022#WeeklyWatch

Recessione sì o no? Un inverno freddo non solo per il gas

David Malpass, presidente della Banca Mondiale in un’intervista all’emittente statunitense CNBC ha dichiarato: “La recessione a cui stiamo andando incontro è molto severa”.

Anche lui, dunque, ha iniziato a parlare di un arretramento in territorio negativo del Pil mondiale o almeno in alcuni tra i maggiori paesi industrializzati, che si trovano oggi stretti in una tenaglia, tra la crisi delle materie prime, l’aumento dell’inflazione e il conseguente rialzo dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali.

Recessione, le previsioni degli analisti internazionali

E così, puntuali come un orologio, gli analisti internazionali hanno iniziato a guardare al futuro con molto meno ottimismo di prima, senza risparmiare naturalmente l’Italia. Sull’economia del nostro Paese, è arrivato di recente un aggiornamento in negativo da parte dell’agenzia di rating statunitense Fitch.

Durante l’anno prossimo, secondo gli analisti di Fitch, il prodotto interno lordo (Pil) italiano potrebbe contrarsi dello 0,7%, cioè finire in recessione dopo due anni di crescita (+6,6% nel 2021 e +3% nel 2022). Altri organismi e istituzioni internazionali vedono ancora il segno più, anche se le loro stime risalgono ai mesi scorsi e potrebbero essere riviste al ribasso nei mesi a venire.

Il Fondo Monetario Internazionale, per esempio, ha stimato una crescita del pil italiano di un risicato 0,7% nel 2023 mentre l’Ocse ha previsto un +1,7%. Leggermente inferiore è invece la previsione di crescita della Banca d’Italia che ha calcolato un +1,3%. Qualunque sia la cifra esatta, una cosa sembra certa: il quadro dell’economia si sta deteriorando per un mix di fattori concomitanti.

Recessione, quali sono le cause

Come sa bene chi segue le cronache economiche e finanziarie, oggi nei maggiori paesi industrializzati (Italia compresa) c’è una fiammata dell’inflazione, cioè un forte rincaro dei prezzi causato a sua volta da altri fattori: prima una forte domanda di beni e servizi (innescata dalla ripresa delle attività economiche dopo la pandemia), poi da una carenza di materie prime sul mercato (legata anche alle tensioni internazionali dopo lo scoppio della guerra in Ucraina).

In questo scenario, mai visto prima negli ultimi 30 anni, le banche centrali (in Europa la Bce e negli Stati Uniti la Federal Reserve) hanno iniziato ad alzare i tassi d’interesse, cioè il costo del denaro. Di solito queste manovre sono la principale arma delle banche centrali per frenare l’inflazione, poiché riducono la quantità di denaro in circolazione che alimenta il caroprezzi. Esiste però l’altra faccia della medaglia.

Alzare i tassi significa appunto rendere il denaro più costoso, frenare gli investimenti e i consumi. Significa, in altre parole, frenare la crescita economica o addirittura portare il Pil in negativo, se le banche centrali pensano che l’inflazione sia una minaccia peggiore della stessa recessione.

Recessione, gli effetti sulla fiducia dei consumatori e delle imprese

L’inflazione ha raggiunto livelli molto elevati nella maggior parte delle economie sviluppate ed emergenti”, dice Generoso Perrotta, Head of Financial Advisory di Banca Generali, che aggiunge: “Sebbene in alcuni Paesi possa aver già superato il picco, e in altri sia prossima a farlo, i tassi attuali di aumento dei prezzi sono ancora ben lontani dagli obiettivi delle banche centrali, che si dimostrano sempre più determinate a proseguire nella lotta all’inflazione attraverso ulteriori aumenti dei tassi di interesse. In base alle previsioni delle principali banche centrali, l’aumento dei prezzi dovrebbe rimanere su livelli superiori ai target anche nel 2023 per poi tendenzialmente convergere nel 2024”.

Perrotta sottolinea come le azioni di politica monetaria restrittiva (cioè l’aumento dei tassi) sinora intraprese stiano determinando un rallentamento della crescita economica a livello mondiale. Inoltre, le attese che le autorità monetarie continuino ancora su questa strada fanno diminuire la fiducia dei consumatori e delle imprese in tutte le principali aree economiche a livello mondiale.

Perrotta ritiene dunque probabile che il rallentamento economico prosegua nei prossimi trimestri e che i maggiori effetti sulla crescita si manifestino nel corso del 2023, con un’incidenza diversa a livello di aree geografiche e di singoli Paesi. Negli USA, dove il picco di inflazione sembra essere già stato raggiunto, la Federal Reserve potrebbe avere margine per intraprendere l’uscita dalla fase di politica monetaria restrittiva già nel primo trimestre 2023, fornendo all’economia maggiori possibilità di evitare una recessione.

Al contrario, l’ipotesi di recessione potrebbe non essere del tutto da escludere in alcune aree, soprattutto in Europa. “L’attività economica, in particolare nell’Eurozona, potrebbe subire un impatto maggiore per le incertezze geopolitiche e le interruzioni di forniture di energia dalla Russia”, continua il responsabile del Financial Advisory di Banca Generali, “i cui effetti dovrebbero manifestarsi in maniera più grave nel corso dei prossimi due trimestri”.

I rischi di rallentamento potrebbero rivelarsi più elevati in quegli stati che dovessero trovare ostacoli nell’implementazione di politiche economiche volte a ridurre nel breve periodo la dipendenza energetica dalla stessa Russia o non riuscissero a supportare adeguatamente imprese e famiglie per il caro energia”.

Recessione, gli effetti sui mercati finanziari

In un simile scenario, la Banca Centrale Europea potrebbe dover ritardare l'uscita dall’attuale fase restrittiva di politica monetaria per contrastare l'ulteriore aumento dei prezzi, con conseguenti aumenti del costo del debito e riduzioni di reddito disponibile che potrebbero portare il Vecchio Continente a sperimentare una fase di recessione nel corso del 2023.

Il mercato sembrerebbe scontare sempre con maggiore probabilità questa ipotesi”, aggiunge Perrotta, “i rendimenti a breve scadenza delle curve governative core dell’Eurozona, maggiormente sensibili alle aspettative sull’andamento dei tassi di riferimento, hanno infatti subito rialzi marcati nelle ultime sedute”. 

A supportare il movimento di rialzo dei rendimenti sulla parte breve delle curve dell’Eurozona anche i recenti commenti di alcuni esponenti della Bce. La presidente Christine Lagarde ha sottolineato che la stabilità dei prezzi è prioritaria rispetto alla crescita, anche se i consiglieri De Cos e Centeno, pur dichiarandosi favorevoli ad ulteriori rialzi, hanno segnalato di preferire un approccio più graduale per limitarne l’impatto sull'attività e sull'occupazione.

In un simile scenario, è possibile che i mercati obbligazionari continuino ad essere caratterizzati da volatilità, cioè da quotazioni altalenanti. Visto in prospettiva, però, questo scenario va valutato con attenzione: tenuto conto del contesto di rallentamento economico in atto e prospettico, i rendimenti obbligazionari, soprattutto per quanto concerne la parte lunga delle curve, potrebbero infatti aver raggiunto livelli interessanti per costruire soluzioni d’investimento atte ad assicurare un flusso di cedole e performance positive nei prossimi trimestri. “Alla luce di quanto sopra”, conclude Perrotta, “un aumento dell’esposizione al mercato obbligazionario, individuando, nei diversi Paesi, i tratti di curva più interessanti, appare essere opportuno”.

Generoso Perrotta, Head of Financial Advisory di Banca Generali Generoso Perrotta, Head of Financial Advisory di Banca Generali
"L’attività economica potrebbe subire un impatto maggiore per le incertezze geopolitiche e le interruzioni di forniture di energia dalla Russia"

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