Dopo l’annuncio di una manovra fiscale molto espansiva, finanziata principalmente con nuovo debito, la sterlina inglese è arrivata a perdere oltre 10 figure contro il dollaro tra venerdì 23 e lunedì 26 settembre, portandosi poco sopra la soglia “psicologica” della parità, sui minimi degli ultimi 40 anni.
Gran Bretagna: la sterlina crolla e torna la paura di un ritorno al 1992
I recenti ribassi hanno riportato alla memoria quanto accaduto nel settembre del 1992, quando il noto finanziere George Soros fu capace di affossare in un solo giorno le quotazioni della sterlina britannica in una seduta di borsa passata alla storia come il “mercoledì nero”.
Alla fine la neo-premier britannica Liz Truss ha dovuto fare marcia indietro. Dopo aver visto i mercati finanziari voltare le spalle alla sterlina ai titoli di stato del Regno Unito (Gilt), l’inquilina di Downing Street (residenza del primo ministro d’Oltremanica) ha deciso di ammorbidire parecchio il maxi-taglio alle tasse messo in programma dal suo cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng.
Tutta “colpa” di quello che è accaduto appunto sui mercati nei giorni scorsi, dove la sterlina si è deprezzata raggiungendo i minimi storici contro il dollaro già toccati nel 1985.
La svalutazione della sterlina britannica e dei Gilt
Anche il mercato obbligazionario del Regno Unito ha subìto una forte correzione: i valori dei titoli di stato sono colati a picco, facendo ovviamente aumentare i rendimenti incassati da chi li acquista a prezzi ribassati.
Nello specifico, i rendimenti dei Gilt con scadenza a due e dieci anni sono saliti la scorsa settimana rispettivamente di oltre 100 punti base e di più di 70 punti base (che corrispondono all’1% e allo 0,7%).
"Dopo l’annuncio di una manovra fiscale molto espansiva, finanziata principalmente con nuovo debito, la sterlina inglese è arrivata a perdere oltre 10 figure contro il dollaro tra venerdì 23 e lunedì 26 settembre, portandosi poco sopra la soglia “psicologica” della parità (quotava 1,35 a inizio 2022), sui minimi degli ultimi 40 anni”, dice Paolo Baldessari, Head of Fixed Income & Alternative Investments di Banca Generali, che aggiunge: “In realtà il movimento degli ultimi giorni è soltanto un’accelerazione di un indebolimento della divisa inglese (anche rispetto Euro) partito alla fine dello scorso anno”.
I recenti ribassi hanno comunque riportato alla memoria quanto accaduto nel settembre del 1992, quando il noto finanziere George Soros fu capace di affossare in un solo giorno le quotazioni della sterlina britannica, assieme alla lira italiana, in una seduta di borsa passata alla storia come il “mercoledì nero”.
Sterlina: l’attacco speculativo di Soros del 1992
Il 16 settembre 1992, attraverso il suo fondo Quantum, Soros decise di effettuare una maxi-vendita allo scoperto di sterline, cioè di speculare al ribasso sulle quotazioni della moneta britannica. Le ragioni che spinsero il finanziere di origini ungheresi a compiere questa mossa erano però un po’ diverse da quelle che hanno determinato la pioggia di vendite degli ultimi giorni.
Allora il fondo di Soros cominciò a bombardare la sterlina perché la Bank of England (la banca centrale britannica che ai tempi era meno indipendente dalle scelte governative) si rifiutava di aumentare i tassi d’interesse a livelli degli altri paesi europei.
Questa ritrosia spinse Soros a ritenere la sterlina sopravvalutata perché, visti i tassi troppo bassi, le attività finanziarie denominate nella divisa d’Oltremanica erano meno redditizie di quelle detenute dagli investitori in altre valute europee.
Svalutazione della sterlina e calo dei Gilt: le ragioni
I ribassi recenti, invece, sono legati soprattutto a una divergenza tra la politica monetaria della Bank Of England e le decisioni di politica economica del governo di Londra. In Gran Bretagna l’inflazione sta raggiungendo infatti livelli stellari (ben sopra il 10%) a causa dei rincari delle materie prime.
Per frenare il caro-prezzi, la Bank of England (BoE) ha alzato i tassi d’interesse, in modo da rendere il denaro più costoso, ridurre la quantità di moneta in circolazione, frenare un pò i consumi e gli investimenti, anche a costo di sacrificare la crescita economica. Di fronte a questa stretta monetaria, il governo di Londra si è mosso in una direzione opposta, rischiando di vanificare l’azione della banca centrale.
Il maxi taglio alle tasse a cui la premier ha in parte rinunciato, infatti, avrebbe sicuramente stimolato i consumi e i prezzi, oltre a deteriorare i conti pubblici, provocando un mega deficit di bilancio. Per questo i mercati finanziari sono entrati in fibrillazione, con una pioggia di vendite sulle sterline e dei titoli di stato del Regno Unito.
Soltanto la Bank of England ci ha messo una pezza, procedendo ad acquisti sul mercato di titoli di stato, per frenare l’ondata speculativa. “La pronta azione della BoE ha contribuito a rassicurare almeno in parte i mercati”, dice Generoso Perrotta, responsabile dell’Advisory di Banca Generali, che però mette in evidenza un aspetto: “In merito alle attese sulla dinamica dei tassi di interesse, gli operatori non hanno cambiato sostanzialmente la loro view e si attendono una politica monetaria ancora decisamente restrittiva da parte della BoE ben oltre la prima metà del 2023”.
“Non si ritiene che la situazione si sia attualmente sufficientemente assestata”, continua Perrotta, “per poter suggerire un posizionamento sulla curva inglese”, dato che “i mercati obbligazionari rimarranno in allerta, nonostante gli sforzi della BoE per proteggere la stabilità finanziaria”.
“Il movimento disordinato che ha caratterizzato il mercato inglese negli ultimi giorni”, aggiunge Baldessari, “ha creato un clima di avversione al rischio che ha penalizzato tutti gli asset rischiosi a livello globale. L’intervento della BoE ha riportato la calma sui mercati, ma gli acquisti straordinari di Gilt termineranno a metà ottobre, con il rischio che ritorni l’incertezza sulle prossime mosse della banca centrale e quindi sulla curva dei tassi. Dopo i pesanti cali degli ultimi giorni, il rapporto tra prezzi e utili del mercato azionario inglese è tornato sotto la media degli ultimi 5 anni ma molti analisti sottolineano che il FTSE rimanga “uninvestable” fino a quando non ci sarà chiarezza sulle nuove politiche fiscali del governo”.
Baldessarri individua anche alcune conseguenze di lungo periodo, della situazione attuale: "Le prossime mosse delle banche centrali vanno ancora nella direzione di maggiori restringimenti: le attese sono di un ulteriore rialzo di 75 bps per la Fed nel meeting del 2 novembre. A questo si aggiunge l’inarrestabile forza del dollaro USA, che ha costretto le banche centrali a mettere mano alle loro riserve per sostenere le valute, spendendo oltre 1000 miliardi di dollari da inizio anno. La pressione sui mercati finanziari sta salendo di giorno in giorno, come testimoniato dagli indici di volatilità (VIX, MOVE, ecc.) tornati sui massimi di periodo”. In questo contesto, per Baldessarri è difficile prevedere quale sarà il prossimo “anello debole” a saltare. Di sicuro gli investitori stanno già scommettendo al riguardo, uscendo dal debito dei paesi emergenti (nell’ultima settimana abbiamo registrato la maggiore fuoriuscita da fondi ed Etf da marzo 2020) e dalle obbligazioni corporate, in particolare quelle di qualità creditizia più bassa”.