Per capire le ragioni della rivalutazione del dollaro nei tassi di cambio con l’euro, bisogna innanzitutto fare qualche passo a ritroso e vedere cosa è successo nell’economia mondiale (in particolare negli Stati Uniti e in Europa) tra il 2021 e il 2022, con l’allentarsi della pandemia e l’inizio della guerra tra Russia e Ucraina. Sia in America che nel Vecchio Continente, si è assistito a una impennata dell’inflazione, legata innanzitutto ai rincari delle materie prime. Le banche centrali di entrambe le sponde dell’Atlantico sono oggi impegnate a smorzare questa fiammata dei prezzi, usando lo strumento che tradizionalmente hanno a disposizione: la politica dei tassi d’interesse.
Alzando i tassi, sia la Banca centrale europea (Bce) che quella americana (Federal Reserve) cercano di dare una frenata ai consumi e quindi alla domanda di beni e servizi sul mercato. L’incremento dei prezzi (detto a grandi linee) si genera infatti quando vi è sul mercato una domanda di beni in eccesso rispetto all’offerta. Tuttavia, nei mesi scorsi gli investitori internazionali hanno avuto la netta sensazione che la Fed americana fosse intenzionata a incrementare i tassi d’interesse più velocemente rispetto alla Bce. Questo per diverse ragioni, che l’economista Carlo Cottarelli ha spiegato chiaramente in un suo editoriale sul Repubblica.
Anche se l’inflazione è più o meno agli stessi livelli su entrambe le sponde dell’Atlantico, ha spiegato Cottarelli, negli Stati Uniti sembra un fenomeno più radicato, poiché si è “estesa da tempo al di fuori del comparto energetico-alimentare, mentre ormai è in corso una rincorsa prezzi-salari facilitata da un livello di disoccupazione che non si vedeva da oltre quarant'anni”. Quando la disoccupazione è bassa e c’è molta richiesta di manodopera sul mercato, infatti, anche i salari tendono a salire visto che i lavoratori hanno maggiore potere contrattuale. Per questo il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, nell’ultima riunione dei vertici della banca centrale ha deciso di alzare di nuovo il costo del denaro negli Usa di 75 punti base (0,75%) portandolo in una forchetta tra il 2,25 e il 2,5%. “L’inflazione è troppo alta. Dobbiamo abbatterla, a ogni costo”, ha detto Powell, facendo intendere di essere pronto anche ad accettare anche un rallentamento dell’economia.
Anche la Bce guidata da Chritsine Lagarde ha iniziato ad alzare i tassi, con una manovra di 50 punti base (0,5%) al termine dell’ultima riunione. Si tratta dunque di un innalzamento più modesto che ha portato il costo del denaro in Europa in una forchetta più bassa (0,5-0,75%). La Bce sembra più “timida” nelle sue manovre perché, secondo l’analisi di Cottarelli, l’inflazione nel Vecchio Continente non si è ancora pienamente estesa fuori dal settore energetico-alimentare e perché, al di qua dell’Atlantico, non si vede quella rincorsa tra prezzi e salari che c’è in America. Inoltre, Lagarde sa benissimo che un aumento dei tassi ha effetti negativi sui paesi europei con un maggiore debito pubblico che si troveranno a spendere di più per interessi. Dunque, se molto accelerato, il caro-tassi rischia di riportare tra gli investitori una notevole dose di sfiducia sulla tenuta dell’area euro, come è avvenuto dal 2011 in poi, non appena l’economia del Vecchio Continente è entrata in crisi o in una fase di instabilità.